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Fosca è il romanzo più famoso di Iginio Ugo Tarchetti. Il romanzo è uscito a puntate sulla rivista Il pungolo nel 1869 e poi raccolto in volume nello stesso anno. Tarchetti è morto prima di finire il terzultimo capitolo, così il romanzo è stato terminato dall'amico Salvatore Farina. Quella della donna fatale, perversa distruttrice di uomini, è una figura che si afferma tra la seconda metà del XIX e l’inizio del XX secolo. La paura generale nei confronti della figura femminea ha alle sue radici l’indebolimento dell’identità maschile, a sua volta riconducibile alle radicali trasformazioni indotte dalla nuova realtà capitalista e di stampo industriale: l’individuo si vede privato della sua stessa identità, diventando una minima rotella insignificante nel neo–meccanismo moderno. L’uomo in crisi di identità vede soprattutto nella donna il banco di prova della sua stessa debolezza, intesa anche come vera e propria forma di inadeguatezza a vivere. Il modello della nuova donna fatale è tratto con particolare interesse dai letterati scapigliati e decadenti. Nelle loro pagine oltre a questa nuova immagine, prende vita la figura dell’inetto, vale a dire dell’uomo debole e perplesso che ha perso la sua forza e la sua sicurezza ed è profondamente lacerato. La storia dell'opera dello scapigliato Tarchetti si sviluppa intorno a Giorgio, ufficiale dell’esercito diviso tra due figure femminili contrastanti tra loro: Clara, la bella giovane con cui ha una relazione tranquilla felice, e Fosca, bruttissima cugina del comandante, donna dalla sensibilità acuta e patologica. L’uomo subisce il fascino perverso e malato della seconda, lasciandosi intrappolare nella sua realtà isterica e malata. Fosca è la tipica donna fatale, il vampiro, silenzioso bevitore dell’essenza vitale dell’uomo, nonché portatore di un oscuro male che trasmette, senza pietà, alla sua vittima. Sebbene alla fine sia la donna a morire, dopo una spaventosa notte d’amore con il suo uomo, è quest’ultimo la vera e propria vittima, che, totalmente soggiogata dal fascino tenebroso della morte, sprofonda in una realtà dai risvolti patologici e autodistruttivi. Nel ritratto fisico della protagonista è evidente fin dall’inizio il proposito di evocare figure macabre: oltre ad avere capelli e occhi nerissimi, attributi topici della femme fatale, e all’eccessiva magrezza, che tanto ricorda la figura inquietante dello scheletro, essa è connotata dai “denti bianchissimi e affilati che spiccano fra le labbra rosse contratte in un ghigno feroce alla vista del sangue”, i quali hanno qualcosa di “vampiresco” e aiutano a delineare sempre più nettamente l’immagine della predatrice, protagonista dell’immaginario collettivo contemporaneo. In Fosca, come in altre opere, scapigliate e non, all’immagine della donna malata e voluttuosa si contrappone quella della donna luminosa, incarnazione di entusiasmo e vitalità (la stessa scelta dei nomi, Fosca e Clara ha un’evidente valore allusivo). Anche in questo caso, però, i tentativi del protagonista di esorcizzare la femmina non riescono: Fosca scaccia inesorabilmente Clara dalla mente dell’uomo, annullando la sua funzione salvatrice. Oltre alla figura centrale della femme fatale, anche la nuova unione tra Eros e Thanatos, vale a dire tra amore e morte, ricopre un ruolo centrale, da coprotagonista.